domenica 31 gennaio 2016

LA PIOGGIA NEL PINETO

 
La poesia La pioggia nel pineto viene composta dal poeta Gabriele d'Annunzio a cavallo fra il luglio e l’agosto del 1902, ed appartiene alla sezione centrale di Alcyone (il terzo libro delle Laudi, uscito alla fine del 1903, e composto dal poeta tra il 1899 e il 1903). La raccolta è costituita da una serie di liriche che rappresentano «un susseguirsi di laudi celebrative della natura – e soprattutto dell’estate, dal rigoglioso giugno al malinconico settembre – nella quale il poeta si immerge mirando a realizzare una fusione panica: a sprofondare e a confondersi con tutto – mare, alberi, luci, colori – in un sempre rinnovato processo di metamorfosi che si risolve in un ampliarsi della dimensione umana».
Sono lodi che celebrano la natura osservata in una vacanza ideale, che inizia a fine primavera nelle colline di Fiesole e termina a settembre sulle coste della Versilia.
Il poeta racconta in versi come avviene la fusione dell’uomo con la natura attraverso il superamento della limitata dimensione umana. Colpisce, inoltre, la musicalità che caratterizza l’intera lirica e che è ottenuta attraverso la frantumazione del verso e il ricorso alle rime interne e alle assonanze. C’è un vero e proprio studio del poeta, un virtuosismo basato anche sul principio della ripetizione, che provoca degli effetti ritmico-musicali particolarmente interessanti. Il poeta tende ad imitare i suoni della pioggia e a inventare delle vere e proprie melodie: le parole più nuove a cui fa riferimento il poeta al v. 5 sono anche le parole che creano una musicalità nuova. Per riuscire ad entrare in empatia con la natura il poeta trasforma le sue parole in musica, utilizzando un lessico piuttosto ricercato e musicale, dimostrando di aver fatto suoi gli insegnamenti dei Simbolisti francesi.
Il poeta e la sua compagna entrano in empatia con la natura e arrivano a condividerne la sua anima segreta: D’Annunzio contempla la metamorfosi delle cose e la sua compagna si trasforma in fiore, pianta, frutto, mentre la pioggia cade.
 
 
ATTIVITA'
Rispondi (almeno a tre domande a tua scelta):
1) La lirica inizia con un invito al silenzio: “Taci”. Il poeta a chi rivolge questo invito? Perché?

2) Man mano che la pioggia aumenta d’intensità, quale meravigliosa sinfonia silvestre si diffonde nell’aria?
3)  Al suono della pioggia fa eco il canto di due animali. Quali?
4) Il poeta e la donna, immersi nella vegetazione, si sentono come trasformare, divenire parte integrante della natura. Come viene descritta la donna? Quali sensazioni prova? Le varie parti del corpo del poeta e della donna in quali aspetti della natura si trasformano?
5)  Che cos’è la “favola bella” che illude?

GABRIELE D'ANNUNZIO

D'annunzio vuole impersonare il modello del superuomo e crede nel valore assoluto dell'arte, tanto da ridurre ogni aspetto dell'esistenza ad attività artistica.
 
La prima fase della sua produzione (primo vere, canto novo, terra vergine) è già caratterizzata da una forma di VITALISMO NATURALISTICO, dove il poeta canta una natura variopinta, multiforme selvaggia in cui egli si immerge. Questa fase è quindi caratterizzata dal PANISMO, orma riconosciuto come la linea tematica di tutta la sua opera. In seguito sempre durante questa fase (terra vergine, novelle di Pescara) pare sempre più decisiva l'influenza del naturalismo di Maupassant e Zola. I personaggi umani si fondono con gli elementi naturali del paesaggio abruzzese.
 
La seconda fase è caratterizzata dall'ESTETISMO e dal PIACERE (il piacere). Negli anni romani prende sempre più forma il personaggio d'annunziano, un poeta languido e raffinato, esteta aristocratico che si distacca dai modi e dai gusti della gente comune. Durante questo periodo si va realizzando l'aspirazione di rappresentare in forme letterarie raffinate le eleganze e le stravaganze degli ambienti aristocratici romani.

La terza fase è quella del SUPEROMISMO e del PANISMO (le vergini delle rocce, il fuoco). Questi
due atteggiamenti coesistono in qualche misura e si alternano in vario modo in una produzione ancora copiosa, finché quello superomistico cede il passo a un più maturo panismo.

A questa fase è legata buona parte della produzione teatrale. D'annunzio si propone infatti di creare un teatro di poesia al fine di creare un'atmosfera ideale in cui vibri tutta la vita della natura. Spiccano i temi della morale superomistica, della lussuria, del sangue e della violenza (laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi. Alcyone.).
 
L'ultima fase è quella del notturno, comprende le pagine scritte dopo l'incidente aereo che gli causò una grave ferita all'occhio.
ESTETISMO, SUPEROMISMO, PANISMO
 
Il termine estetismo, nato nel settecento, definisce la filosofia che si occupa del bello e dell'arte. L'estetismo è anche un atteggiamento culturale che attribuisce priorità ai fattori estetici e alla bellezza, considera l'arte la più alta espressione dell'uomo e subordina ogni altro valore anche morale. Si accompagna a questo movimento anche la concezione espressa in francese l'art pour l'art, che identifica lo scopo dell'opera d'arte nell'opera stessa. l'estetismo insegue anche la fusione tra l'arte e la vita.
 
Una visione importante dell'estetismo si trova nel pensiero del giovane filosofo Nietzsche che individua nello spirito dionisiaco, espresso in arte dalla musica, una fonte essenziale della classicità. Attraverso la critica della razionalità socratica e della morale cristiana, Nietzsche giunge a formulare la teoria dell'Ubermensch, il SUPERUOMO. Infatti secondo la sua teoria l'uomo sta in mezzo tra l'animale e il superuomo.
 
Il superuomo d'annunziano si identifica con quello nietzscheiano nel disprezzo della vita grigia volgare della massa, nella volontà di potenza, nella libertà dalle regole, ma si risolve poi spesso verso ideali nazionalistici e aristocratici dell'eroismo militare.
 
Il superomismo si intreccia con la concezione definita PANISMO, che vede l'uomo come parte inscindibile della natura. Anche questa teoria deriva dal pensiero di Nietzsche che descrive l'annientamento del velo che separa l'uomo dalla natura e l'erompere dello spirito dionisiaco della musica orgiastica che produce la fusione totale, cioè panica.
 
ATTIVITA'
Gabriele D'Annunzio: esprimi un breve giudizio critico sul personaggio (max 5 righi).

SE QUESTO E' UN UOMO - POESIA

SE QUESTO E' UN UOMO - POESIA
Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case

Questa poesia costituisce la Prefazione di “Se questo è un uomo”.
Essa riassume in sé il contenuto del libro stesso e la sua funzione di testimonianza e di ammonimento per le generazioni future.

Se questo è un uomo

“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.”

(Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976, p.1)

L'opera memorialistica “Se questo è un uomo” di Primo Levi è il romanzo in cui l’autore racconta la sua esperienza nei campi di concentramento, durante la Seconda Guerra Mondiale. Sottratto alla sua vita quotidiana, Primo Levi viene condotto in questo luogo di morte, costruito per annientare la dignità umana.

Il lager nazista è pensato appositamente per trasformare gli uomini in vere e proprie bestie, costretti a lottare gli uni contro gli altri per la sopravvivenza. I suoi abitanti sono obbligati ai lavori forzati, denutriti e privati persino del nome, spogliati di qualsiasi bene e divisi dalle proprie famiglie.

(leggi, nella tua antologia, il capitolo, intitolato "Sul fondo")

La vita nel lager è descritta come una realtà incredibilmente alienante, in cui gli uomini e le donne subivano ogni tipo di sopruso. Torturati, costretti a soffrire ogni tipo di dolore, da quello fisico a quello mentale e morale, sempre più massacrante, le persone si trascinano nel campo di concentramento fino a non provare più emozioni.

E’ così che l’autore di “Se questo è un uomo” descrive il proprio tempo trascorso nei lager. Il romanzo è estremamente toccante, perché al di là delle crude descrizioni di ciò che ha visto accadere ai propri compagni di sventura, al sangue versato, ai bisogni primari insoddisfatti, l’autore racconta di una coscienza che cerca di reagire.

Primo Levi racconta di come, in un luogo in cui la morte era una compagna di viaggio quasi desiderata, per quanto tremende erano le condizioni di vita, scopre un’incredibile forza che smuove una passione naturale e pura per la vita.

(leggi, nella tua antologia, il capitolo "Il canto di Ulisse").

Il coraggio, la necessità di non lasciarsi andare, un amore celato dalla sofferenza, ma pur sempre esistente, lo hanno indotto istintivamente a reagire, e questa reazione ha trovato significato nella scrittura, in parole da nascondere perché, nel campo, non era concesso neppure scrivere.

Primo Levi oltre a raccontarsi, cerca di dare una spiegazione, una parvenza di ragionamento per trovare la causa che ha spinto degli essere umani ad annullare la personalità, l’individualità e l’esistenza dei loro simili.

Non c’è nessuna forma di normalità dietro il dolore gratuito che viene inflitto, ed è questo il male radicale, quello perverso, che non può essere spiegato né gestito, ma che in qualche modo deve essere contenuto dentro il petto di chi ha subito l’esproprio della propria anima.

E quando il protagonista di “Se questo è un uomo” riesce a sopravvivere e ad uscire da Auschwitz con le proprie gambe, non riesce a lasciare la propria sofferenza dietro il filo spinato del campo di concentramento, ma se lo porta addosso, oltre, per tutto il tempo che gli resta da vivere.

Lo stile di Primo Levi è asciutto, descrittivo, molto diretto, tipico di chi ha la necessità di far arrivare immediatamente un concetto ai suoi lettori. E il pensiero di quest’uomo sopravvissuto alla più grande sciagura della storia d’Europa, resta impresso negli occhi e nel cuore di chiunque legge questo libro.
ATTIVITA'
Fate libere riflessioni.

GLOSSARIO RETORICO

 
 
Il significato figurato delle parole
 








Le parole possono essere usate in senso proprio (o denotativo), ma anche in senso figurato, estendendo il loro significato al di là di quello originario:

L'insegnante continuava a spiegare, ma gli alunni avevano staccato la presa. (= non erano più collegati, attenti).


Alla base dell'uso figurato delle parole c'è il senso connotativo che esse assumono, associando al significato proprio, oggettivo della parola sentimenti o giudizi soggettivi:
per esempio, alla parola sole si collegano idee di calore, luce, vita; dicendo "Sei il mio sole", mi riferisco alle connotazioni che ha la parola sole per esprimere la gioia di vivere che mi dà quella persona.
Nuove espressioni figurate vengono continuamente create da scrittori, poeti, pubblicitari, giornalisti, comici, ma anche da persone comuni un po' creative. Quando si diffondono, anche grazie ai mezzi di comunicazione moderna, entrano a far parte del lessico comune.
Sul dizionario sono registrati sia i significati denotativi, sia quelli figurati entrati nell'uso, che vengono aggiornati a ogni nuova edizione. Molte parole della lingua hanno significati derivanti da un uso figurato che è diventato abituale e non viene più notato: le gambe del tavolo, la gru di un cantiere, la rete televisiva, la stella o la diva del cinema, il tifo sportivo ecc. (a volte risulta meno noto o sconosciuto il significato originale).
 
 
 
CLICCA SUL
 
 e leggi le figure più comuni per riconoscerle quando devi analizzare un testo dal punto di vista formale.
 
 
 Per ogni curiosità di retorica e stilistica consultate il testo linkato del prof. Angelo Marchese
 arte artificio sull'uso delle parole

mercoledì 20 gennaio 2016

IL DECADENTISMO

 
Il termine nasce originariamente in Francia, con intenti polemici, per designare un gruppo di poeti e di letterati che non si riconoscevano nella linea poetica dominante nella seconda metà dell’Ottocento, e cioè il Naturalismo zoliano. Tali autori – principalmente Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud – proponevano una strada alternativa all’osservazione scientifica della realtà sociale propugnata da Zola e, raccolti attorno alla rivista «Le Décadent», pubblicano, nel 1884, una raccolta significativamente intitolata I poeti maledetti, in esplicita polemica con il pubblico borghese del tempo e con i suoi gusti estetici. L’incipit di una celeberrima poesia di Verlaine recita: “Io sono l’Impero alla fine della decadenza”.
Cardine della poetica decadente è l’idea che la realtà non è qualcosa di conoscibile e di razionalizzabile, bensì qualcosa di sfuggente, ambiguo, misterioso. Per Baudelaire “è un tempio la Natura ove viventi / pilastri a volte confuse parole / mandano fuori; la attraversa l’uomo / tra foreste di simboli dagli occhi / familiari”. Dunque la conoscenza di tale realtà è attingibile solo per via intuitiva e simbolica (nel 1885 sarà fondata la rivista «Le Symboliste», e con il Simbolismo confinerà il Decadentismo), non per via descrittiva e non in modo razionalistico. Il poeta sarà quindi un “veggente” (Rimbaud) e i suoi comportamenti entreranno in diretta polemica con il perbenismo borghese: dal maledettismo del ‘padre’ Baudelaire al dandysmo di Oscar Wilde o all’estetismo di Gabriele D’Annunzio.
Sul piano storico-politico il Decadentismo coincide con un'epoca caratterizzata da gravi tensioni e forti squilibri internazionali che avranno come tragico sbocco la prima guerra mondiale. Il forte sviluppo industriale, se da un lato accentua lo scontro tra capitalisti e proletari, sempre più coscienti del loro peso sociale e dei loro diritti, dall'altro impone l'esigenza di cercare nuovi mercati. Questa esigenza trova una risposta nell'espansione coloniale da parte delle grandi potenze europee in altri continenti che scatena pericolosi imperialismi. Proprio in questo periodo nasce il mito razzista della superiorità e della missione civilizzatrice della razza bianca e della sua cultura. Tutti questi fattori mettono in grave crisi i grandi ideali dell'Ottocento di uguaglianza, di libertà individuale e nazionale, di affermazione dei diritti naturali dell'uomo. Nascono nuovi miti: il diritto alla violenza, il successo personale, economico e sociale, la superiorità della razza bianca. Questa crisi generale influenza profondamente anche la vita culturale. Gli intellettuali si sentono estranei alla loro epoca dominata da interessi di carattere economico e materialista, ne avvertono la «decadenza» e prospettano nuovi atteggiamenti spirituali. Nasce così un nuovo modo di concepire l'arte e la letteratura che prende appunto  il nome di Decadentismo. I caratteri fondamentali del Decadentismo sono:
  •  mancanza di fiducia nella ragione e nella scienza: solo l'intuizione e la pura sensibilità possono aiutarci a penetrare nei misteri profondi della vita;
  • isolamento rispetto alla società circostante: si perde la fiducia nella possibilità della letteratura di incidere nelle grandi trasformazioni sociali e politiche della nuova epoca;
  • esaltazione della propria individualità, del proprio  “io”;
  • senso di crisi, di morte, di angoscia e di solitudine.
L'esigenza di esprimere queste nuove concezioni determina un profondo cambiamento nelle forme letterarie, specialmente in quelle della poesia. La poesia è per i decadenti la sola possibile intuizione della realtà e il poeta è considerato come "vate", cioè come colui che fra tutti gli uomini è in grado di cogliere il significato nascosto della realtà. Di qui le parole poetiche non hanno peso, diventano musica e i versi, svincolati da ogni regola metrica, diventano rapidi, carichi di significato e di simbologie. In Italia gli autori più rappresentativi del Decadentismo sono i poeti Giovanni Pascoli e Gabriele D'Annunzio. Tuttavia i temi decadenti sono riconoscibili nelle opere di due altre grandi personalità letterarie, gli scrittori Italo Svevo e Luigi Pirandello.
 
Approfondisci cliccando il link:
 
 
ATTIVITA'
Quali sono i principali temi trattati nella letteratura decadente?

domenica 17 gennaio 2016

L'ASCESA DI HITLER AL POTERE E L'IDEOLOGIA NAZISTA


 
LA GERMANIA DEL PRIMO DOPOGUERRA DALLA REPUBBLICA DI WEIMAR ALL'AVVENTO DI HITLER
Nell’immediato dopoguerra in Germania, dopo l’abdicazione del kaiser Guglielmo II, venne proclamata la repubblica e il governo fu affidato provvisoriamente al leader socialdemocratico Friedrich Ebert, che s’impegnò a indire le elezioni di un’Assemblea Costituente. La situazione però era molto confusa ed agitata da fermenti rivoluzionari che vennero raccolti dalla Lega di Spartaco, associazione d’ispirazione comunista guidata da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Nei primi mesi del 1919 le tensioni si trasformarono in un vero e proprio tentativo d’insurrezione, che venne stroncato con la forza dall’esercito e dai Freikorps, sorta di bande paramilitari che rapirono e uccisero i leader spartachisti.
Stroncato nel sangue questo tentativo, si tennero le elezioni che diedero la maggioranza ai social democratici, i quali assunsero con Ebert la guida della Repubblica di Weimar, ma governarono d’intesa con le forze cattoliche del Zentrum.
Le condizioni poste alla Germania dal trattato di Versailles si rivelarono ben presto insostenibili, ingenerando nei tedeschi un sentimento di rivalsa che favorì due tentativi (falliti) di colpo di stato detti putsch (Kapp nel 1920 e Hitler nel 1923). Nel 1922 la Germania non riuscì a pagare la rata dei debiti di guerra e la Francia occupò militarmente le aree industriali della Ruhr e della Saar. La reazione degli operai tedeschi fu lo sciopero con la conseguente gravissima inflazione del 1923.(foto)
La stabilità politica fu ritrovata con il governo del liberale Streseman sul finire del 1923, grazie soprattutto al piano di aiuti americani (piano Dawes) che favorì il rilancio produttivo del paese, anche diluendo in tempi più lunghi i pagamenti alla Francia dei gravosissimi debiti di guerra decisi a Versailles.
 

 
Con la crisi di Wall Street del 1929 ed il ritiro dei capitali americani investiti, la Germania ripiombò nella recessione economica. In questa situazione la popolazione fu spinta a sostenere il movimento estremistico di Adolf Hitler, che aveva fondato il partito nazionalsocialista, la cui ideologia si basava sui capisaldi della superiorità razziale tedesca, del complotto mondiale ebraico e della necessità di ampliare lo spazio vitale della Germania.
In particolare la dottrina del complotto mondiale antitedesco forniva una spiegazione semplificata delle difficoltà affrontate dalla popolazione in quella fase storica e suggeriva nella rivincita militare la soluzione dei problemi.
Alla crisi economica si aggiunse, agli inizi del 1930, la crisi politica dovuta alla frammentazione del quadro politico e alla crisi dei partiti, che determinò l’ingovernabilità del paese e il ricorso ad una serie di successive consultazioni elettorali; i cittadini furono chiamati a votare per il Parlamento ben 5 volte dal 1928 al 1933.
Dopo la quarta elezione, tenutasi nel Novembre del 1932, il presidente Hindenburg affidò a Hitler l’incarico di formare il nuovo governo (30 gennaio 1933). Il suo partito aveva raggiunto un consenso che sfiorava ormai il 40% dei voti.
Non soddisfatto Hitler nella primavera del 1933, dopo un misterioso attentato in cui bruciò la sede del Parlamento (incendio del Reichstag, 27 febbraio) sciolse il Parlamento, riconvocò il corpo elettorale ed ottenne la maggioranza assoluta dei seggi, con il conseguente conferimento di pieni poteri, anche legislativi. Rapidamente la Germania si trasformava in un regime totalitario.
Nel corso del primo anno furono sciolti o messi fuorilegge tutti i partiti tranne quello nazista; fu istituita la polizia politica (Gestapo) con compiti di schedatura, controllo e repressione degli avversari politici; nella notte dei lunghi coltelli (30 GIUGNO 1934) furono regolati nel sangue i conti con le Sturm Abteilungen , milizie che furono sostituite con le più fedeli Schutz Staffeln, le tristemente famose SS. Nell’agosto del 1934 moriva il presidente Hindenburg e Hitler assumeva per sé la carica vacante, proclamandosi Fuhrer del Terzo Reich.
LO STATO TOTALITARIO IN GERMANIA
Fin dall’ascesa al potere di Hitler, nel 1933, iniziarono le persecuzioni naziste degli ebrei, che vennero regolamentate con le Leggi di Norimberga nel 1935, secondo le quali agli ebrei era vietato occupare impieghi pubblici ed esercitare libere professioni, conservare la cittadinanza tedesca e il possesso dei relativi documenti, possedere proprietà immobiliari, sposarsi con ariani. Erano inoltre costretti a subire la sterilizzazione. Particolare attenzione i nazisti rivolsero all’aspetto culturale, nel senso della propaganda e dell’ indottrinamento, in cui si distinse il famigerato ministro Joseph Goebbels, fedele ad Hitler fino all’ultimo giorno di vita. La cultura tradizionale era considerata contaminata dagli ebrei e quindi disprezzata fino al rogo dei libri, mentre i testi scolastici furono riscritti in gran fretta.
L’arte astratta e delle avanguardie era considerata arte degenerata e come tale disprezzata e vietata. Molti intellettuali e scienziati abbandonarono precipitosamente il paese per sottrarsi alla condanna e alla censura nazista (due su tutti: Einstein e Freud).
Ciò nonostante Hitler godeva del largo appoggio dei ceti imprenditoriali, che favorì con lo scioglimento dei sindacati e il rilancio dell’industria bellica. Notevole fu anche l’impegno nazista nella realizzazione di opere pubbliche, che dovevano celebrare la grandezza del Reich. In questo campo si distinse l’architetto Albert Speer, che tra gli altri progetti realizzò lo Stadio Olimpico di Berlino dove si tennero i giochi nel 1936.
Ma negli anni ’30 Hitler dedicò i maggiori sforzi al riarmo dell’esercito, reintroducendo la coscrizione obbligatoria. La Germania uscì infine dalla Società delle Nazioni ed iniziò a progettare l’annessione dei territori con popolazione di lingua tedesca, dalla Renania all’Austria, ai Sudeti, a Danzica. Un progetto che precipiterà gradualmente ma irrefrenabilmente l’intera Europa nel secondo conflitto mondiale.
 
ATTIVITA'
Hitler era affetto da un disturbo narcisistico della personalità (narcisismo maligno). In che cosa consiste? 
 


LA CRISI DEL PRIMO DOPOGUERRA

La crisi del dopoguerra
Per l’Italia il dopoguerra fu caratterizzato da un diffuso senso di delusione per gli esiti del conflitto. Pur rientrando tra le nazioni vincitrici, l’Italia non vide mantenute tutte le promesse, in termini di annessioni territoriali, del Patto di Londra e in particolare non ottenne Fiume, la Dalmazia e i territori del Dodecanneso, rivendicati dai nazionalisti e dagli interventisti.
Si diffuse pertanto quel sentimento della vittoria mutilata che accese gli animi e divise gli italiani tra dannunziani e caporettisti, i primi accesi patrioti, i secondi scialbi rinunciatari.
Il tentativo dannunziano di Fiume, con l’occupazione della città nel settembre del 1919, si esaurì alla fine del 1920 con l’abbandono a seguito del Trattato di Rapallo, che affidava la città istriana al controllo internazionale fino al 1924, anno in cui sarebbe passata sotto il governo italiano.
Ma oltre alla questione nazionale, nell’immediato dopoguerra tornò a divampare la questione sociale, poiché le conseguenze negative del conflitto ricaddero in prevalenza sui ceti proletari e piccolo borghesi. In particolare vi fu il problema del reinserimento dei combattenti, reso difficile dall’esigenza di riconvertire l’industria alla produzione civile, quello delle terre incolte e della promessa non mantenuta di una riforma agraria che finalmente distribuisse la terra ai contadini.
La piccola borghesia risentì maggiormente dell’inflazione e della crisi di bilancio dello stato, mentre la grande borghesia si avvantaggiò grazie alle commesse statali che durante la guerra avevano drenato ingenti risorse finanziarie a favore delle grandi industrie.
ATTIVITA'
Il primo dopoguerra, in Italia, determinò la crisi del sistema liberale. Perché?