mercoledì 11 maggio 2016

SECONDO DOPOGUERRA IN ITALIA

L’Italia del secondo dopoguerra, pur tra contraddizioni ed esitazioni, è attraversata tuttavia da una forte esigenza di cambiamento. La dimostrazione più chiara di tale esigenza sta forse nell’incidenza del Neorealismo, un movimento culturale che spinge scrittori, registi, intellettuali ad esprimere apertamente il proprio impegno e a non trascurare la dimensione politica dell’arte. Si tratta di una vera e propria riscoperta del reale, che viene opposto in tutte le sue sfaccettature alla retorica del ventennio fascista.

Come sottolinea Italo Calvino nella Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno, ‹‹il Neorealismo non fu una scuola (cerchiamo di dire le cose con esattezza). Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche – o specialmente – delle Italie fino allora più inedite per la letteratura››.

E’ proprio quest’affermazione che permette di capire quanto siano innovativi i temi del Neorealismo (così lontani dalle intonazioni celebrative dell’Italia fascista), che oramai entrano “prepotentemente” sia nel mondo letterario sia in quello cinematografico.
Tra gli scrittori che si possono annoverare in questo movimento, seppure con sfumature diverse e soltanto in alcuni momenti della loro produzione, ricordiamo Alberto Moravia, Corrado Alvaro, Carlo Bernari, Ignazio Silone, Cesare Pavese, Vasco Pratolini, Beppe Fenoglio, Elio Vittorini…

Ma la stagione del Neorealismo si riflette soprattutto nella cinematografia (in particolare nel periodo che va dal 1945 al 1949) con personalità di grande rilievo come Luchino Visconti, Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. Questi autori si preoccupano di rappresentare scene di vita quotidiana, affrontando spesso i temi della povertà e della disoccupazione. Al centro della loro narrazione vi è la guerra con le sue distruzioni, la difficile lotta per la sopravvivenza, l’attenzione ai personaggi della strada.
Protagonisti dei film neorealisti sono individui comuni che agiscono spontaneamente e si esprimono in un linguaggio dialettale. Anche per questo il più delle volte vengono scelti attori non professionisti e si privilegiano gli ambienti naturali.
Il riferimento inevitabile della stagione neorealista (la lezione “sincera” da cui partire) è senza dubbio il Verga dei Malavoglia; non è un caso che Luchino Visconti riproponga nel suo film La terra trema (1948) proprio la miseria dei pescatori di Aci Trezza.
I registi neorealisti rifiutano il ricorso all’artificiosità degli studi cinematografici; la loro scenografia risponde all’esigenza di documentare la realtà dell’Italia postbellica ed è per questo scarna, essenzializzata.
Certo gli studi di Cinecittà non potevano essere utilizzati a causa dei danni subiti durante la guerra ed erano inoltre occupati dai profughi. Ma la ragione che spinge a privilegiare gli spazi esterni è innanzitutto una ragione stilistica: l’idea stessa di Cinecittà è in antitesi con la poetica neorealista, tanto è vero che il primo film che viene girato a Cinecittà dopo le vicissitudini della guerra, nel 1947, è Cuore di Duilio Coletti: un film di “buoni sentimenti”.


Il rinnovamento istituzionale, politico e culturale nell’Italia del secondo dopoguerra passa attraverso un percorso non lineare che registra anche momenti di stasi e di regresso; le richieste di cambiamento provenienti da una parte della società suscitano riserve soprattutto tra la piccola e media borghesia dando luogo a fenomeni di aggregazione come quello del movimento del Fronte dell’uomo qualunque, che conquista ben 30 seggi nelle elezioni del 1946 per l’Assemblea Costituente.
Il desiderio di conservazione è particolarmente avvertito dal cittadino medio e si

riflette in diversi ambiti.

Le prime edizioni del Festival di Sanremo mostrano un’Italia smaniosa di ritrovare la continuità della sua tradizione e di lasciarsi alle spalle il ricordo tragico della Seconda Guerra Mondiale.
Il successo di Nilla Pizzi nelle edizioni del 1951 (ottiene il primo posto con Grazie dei fiori e il secondo con La luna si veste d’argento) e del 1952 (trionfa con il primo, secondo e terzo posto rispettivamente con Vola Colomba, Papaveri e papere, Una donna prega) è la riprova più evidente di tale tendenza.



La ricerca di novità è ben rappresentata anche da quel “mito americano” (anticipato dalle traduzioni di Melville, Faulkner, Hemingway ad opera di autori quali Pavese, Vittorini, Fernanda Pivano) che tanto ha influenzato la nostra cultura e il nostro costume.

La “voglia d’America” traspare innanzitutto nell’ormai classico accostamento delle note della celebre In the mood di Glenn Miller alle immagini della liberazione di Roma. E’ una voglia che si ritrova in diversi compositori e cantanti che riprendono sonorità proprie della musica americana (swing, jazz…) accostate in maniera originale alla tradizione italiana.

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Prof.ssa Angelica Piscitello